Relazioni di attaccamento e legami di coppia. Parte I: Attaccamento e MOI

Parte 1 – Attaccamento e MOI

La scelta del partner è influenzata dal modello relazionale che si instaura tra bambino e figura di attaccamento durante l’infanzia; tale modello, che si apprende già dalle primissime interazioni caregiver-bambino, regola il modo in cui ci si rapporta all’altro e ciò che ci si aspetta da tale interazione.

Cos’è l’attaccamento?

L’attaccamento è definito come un bisogno innato,inizialmente del bambino, di ricercare per tutta la vita la vicinanza protettiva di figure di riferimento in momenti di difficoltà. Per poter parlare di attaccamento sono necessarie tre condizioni di base:

  • la ricerca di vicinanza tra il bambino e la figura che offre attaccamento, come la madre;
  • la reazione di protesta causata dalla separazione;
  • la base sicura, ovvero la sensazione di sicurezza che si instaura tra la figura di attaccamento e il bambino.

La teoria dell’attaccamento fu formulata a partire dalle ricerche degli psicologi John Bowlby, Mary Ainsworth e James Robertson. Bowlby aveva già ipotizzato, tra il 1925 e il 1929, che i comportamenti delinquenziali e la mancanza di emozioni manifestati dai ragazzi ospiti del centro dove svolgeva volontariato, fossero collegati alla mancanza di cure genitoriali adeguate nella prima infanzia.

Sulla base di queste osservazioni, nel 1946, avviò uno studio presso la Tavistock Clinic di Londra: insieme a Mary Ainsworth e James Robertson, studiò gli effetti della separazione dalla madre sulla personalità. Lo studio che più di tutti portò delle prove a sostegno delle idee di Bowlby fu il Baltimore Longitudinal Project della Ainsworth (pubblicato nel 1978) che identificò quattro stili di attaccamento nella prima infanzia.

I diversi tipi di attaccamento sono:

  • attaccamento sicuro, in cui il bambino ha un genitore disponibile e accudente. Il bambino sa di poter accedere alla sua protezione, quindi è desideroso di esplorare l’ambiente e allo stesso tempo è tranquillo di ritrovare la base sicura nel momento in cui gli si presenta un pericolo estraneo;
  • attaccamento insicuro-evitante, in cui il bambino ha un genitore non in grado di rispondere ai suoi bisogni. Si sente rifiutato e teme costantemente il rifiuto dell’altra persona. Impara così a inibire le proprie emozioni perché non si sente amabile, si distacca dal caregiver e iper-esplora l’ambiente;
  • attaccamento insicuro-ambivalente, in cui il bambino ha un genitore che risponde alle sue richieste, ma in modo non costante. Il bambino sperimenta un’ambivalenza emotiva e si sente a volte amabile e altre volte rifiutato, per cui mette in atto un controllo sull’adulto: l’ambiente è ipo-esplorato perché il bambino ha paura di separarsi dalla figura di attaccamento;
  • attaccamento insicuro-disorganizzato, in cui il bambino viene messo in pericolo dal genitore. Questo determina un crollo del sistema di attaccamento e di conseguenza il bambino manifesta comportamenti paradossali e disorganizzati.

I Modelli Operativi Interni (MOI)

Il sistema di attaccamento è costituito da un insieme di comportamenti che si sviluppano per consentire ai piccoli di garantirsi la vicinanza della figura di accudimento, base sicura da cui muoversi verso l’esplorazione dell’ambiente.

Dalle prime interazioni con le figure di accudimento si vengono a formare i Modelli Operativi Interni (MOI) cioè schemi mentali che ciascuno di noi costruisce nel corso della propria vita interagendo con l’ambiente. Essi hanno la funzione di veicolare la percezione e l’interpretazione degli eventi da parte dell’individuo, consentendogli di fare previsioni e crearsi aspettative sugli accadimenti della propria vita relazionale. In sintesi, attraverso le relazioni di attaccamento impariamo a dare un’organizzazione alle nostre esperienze emotive, rendendole prevedibili anche in altri contesti relazionali.