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Come motivare qualcuno ad andare in terapia?

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In tutte le situazioni nelle quali vi è un “paziente” non motivato e non disponibile a farsi curare, l’apporto dei familiari risulta vincente per produrre un positivo cambiamento e sbloccare situazioni anche molto complesse.

Spesso mi trovo a ricevere richieste di aiuto che provengono non direttamente dalla persona interessata, ma da altri, come familiari o partner.
Tuttavia, il fatto che non sia il diretto interessato a riconoscere la necessità di un percorso psicologico per sé, ma che siano altri, non significa che il problema non esista o che, visto che la persona non è motivata, non sia possibile fare nulla. Anzi. Spesso succede proprio che le persone maggiormente sofferenti non riescano a focalizzare, o addirittura neghino, il proprio disagio o che comunque non siano immediatamente disponibili a seguire un percorso di cura.

Motivare un paziente ad andare in terapia

Di fronte ad un maggiorenne e in assenza di una qualsiasi “prescrizione” alla cura, la difficoltà ad iniziare un percorso psicologico con una persona non motivata può essere piuttosto elevata. In questi casi, infatti, un adulto che rifiuta le cure non può essere costretto a curarsi, soprattutto poi se non è pericoloso per sé o per altri.
In questa categoria di situazioni rientrano purtroppo anche quelle persone che giocano molto ai videopoker o alle scommesse, o bevono molto senza essere violenti, o persone che non intendono impegnarsi nella ricerca di un lavoro e “buttano via” la loro esistenza semplicemente lasciando scorrere un giorno dopo l’altro.
Accade spesso che in questi casi il senso di impotenza sperimentato dai familiari porti chi sta vicino al paziente a cercare in tutti i modi di motivare e spronare il proprio caro a reagire, magari in modo sempre più intenso.
L’esperienza clinica dice che una certa insistenza da parte dei familiari di un paziente affinché egli si curi o abbandoni comportamenti negativi è normale e anche positiva, a patto che questa insistenza non diventi eccessiva e/o duri troppo a lungo. In questi casi accade che il risultato diventa paradossale in quanto le resistenze del paziente aumentano piuttosto che diminuire. I pazienti, infatti, sentendo attorno a sé una crescente pressione psicologica a “farsi curare”, tenderanno all’opposto ad accentuare i propri comportamenti sintomatici piuttosto che a diminuirli, e saranno sempre meno disponibili ad intraprendere un percorso psicologico.

Quale soluzione?

Risolvere queste situazioni al meglio è possibile attraverso il coinvolgimento nella terapia (soprattutto nella prima fase) anche delle persone stesse che contattano lo psicologo, lavorando con loro per alcuni incontri proprio sulle ragioni del rifiuto del loro caro a farsi curare.
Molto spesso, infatti, nei familiari è presente la convinzione di fondo che comunque è “solo” il loro caro ad avere difficoltà, e che alla fine è solo lui che deve essere coinvolto nelle sedute. Questo è un altro di quegli atteggiamenti che risultano controproducenti, e che andrebbero evitati.
L’approccio migliore da adottare è invece quello di pensare in modo più allargato, ritenendo che il problema del paziente sia in realtà un “problema più ampio”, di tutta la famiglia, che si esprime certamente nel sintomo del paziente, ma anche nel conflitto familiare. E che se in un dato momento non si può affrontarlo trattando direttamente il “sintomo” (ovvero il comportamento negativo del “paziente”), magari è possibile farlo trattando, da un’altra angolazione, il conflitto in famiglia derivante dal sintomo stesso.
D’altro canto, i “pazienti”, vedendo che i loro familiari si impegnano loro stessi per primi con lo psicologo, mettendosi quindi direttamente “in discussione”, si convincono ad abbassare un po’ le loro difese, ed accettano di svolgere alcuni colloqui familiari e poi anche individuali.

Quali sono i vantaggi di questo approccio?

Risolvere il conflitto familiare aiuta in modo decisivo l’aggancio con il paziente difficile, e in molti casi arriva anche ad influire sensibilmente sul sintomo stesso.
Ottenere questo risultato è possibile a patto di essere disponibili a mettersi in gioco in maniera autentico per risolvere situazioni di sofferenza e malessere legate, in realtà, a difficoltà di comunicazione con i familiari.

Grazie per avermi contattata. Fammi sape